Lombalgia: le buone pratiche di gestione. Un progetto per la regione Marche
Esiste una condizione apparentemente banale, ma che a oggi rappresenta uno dei principali motivi che portano il paziente a consultare il medico di medicina generale: è la lombalgia, dolore a carico della colonna vertebrale limitatamente al tratto lombo-sacrale. La lombalgia rappresenta un importante burden socioeconomico, anche in considerazione del numero di giornate di lavoro perse ogni anno. Caratterizza da dolore locale, irradiato (esteso lungo l’arto inferiore) o riferito (ad esempio da dolore viscerale), questa condizione è estremamente comune e colpisce tutte le fasce di età, con un picco attorno alla quinta decade. A livello globale, si stima che oltre il 70 per cento della popolazione sia destinata a sviluppare almeno un episodio di lombalgia nel corso della propria vita.
Quando la condizione è aspecifica
La lombalgia è una condizione complessa alla quale contribuiscono molteplici fattori, inclusi quelli di tipo psicologico e sociale, accanto a diverse comorbidità e vari meccanismi di percezione del dolore. In molti pazienti la causa precisa non può essere identificata: anche se precedenti stime indicano un 90-95 per cento circa di cause difficilmente identificabili, grazie a quanto emerso in questo progetto sappiamo oggi che si può parlare di lombalgia aspecifica nel 50-60 per cento dei casi di dolori lombari che si presentano allo studio del Medico di Medicina Generale. Questa presentazione poco chiara non fa che confermare la complessità della condizione in ottica di trattamento e percorso diagnostico.
Un progetto di sensibilizzazione e formazione
Partendo dalla considerazione di queste complessità e dell’importanza socioeconomica del fenomeno, OPT con il contributo di FIMMG (Federazione italiana medici di medicina generale) e di Nusa Servizi ha ideato, con il contributo non condizionante di Angelini, il Progetto Lombalgia Regione Marche destinato a ottimizzare la gestione del paziente con lombalgia a livello regionale. Per raggiungere questo obiettivo è stata prima di tutto valutata la presa in carico coinvolgendo un board di medici di medicina generale e di specialisti.
Il documento di presa in carico
Nello specifico l’attività si è svolta in tre fasi: nella prima è stato redatto un documento di presa in carico in cui, sulla base del confronto con i MMG, sono state indicate buone prassi in termini di diagnosi, esame obiettivo, esami strumentali e terapie farmacologiche, validato congiuntamente dagli stessi medici e dagli specialisti.
Nella stesura di queste linee di indirizzo, è emersa la necessità di modificare il paradigma di approccio al paziente con lombalgia, adottando un modello biopsicosociale secondo cui, nella valutazione del dolore, oltre agli aspetti biologici della malattia devono essere considerati anche i fattori psicologici e sociali che, interagendo tra di loro, possono peggiorare la sintomatologia. La gestione ottimale della lombalgia deve quindi essere interdisciplinare e includere interventi multimodali integrati.
La fase di divulgazione
Successivamente il documento è stato divulgato alla platea di MMG della regione per mezzo di cinque webinar. «Un aspetto positivo di questo progetto», spiega Massimo Magi, Segretario FIMMG Marche, «è che non si è avvalso di una formazione di tipo accademico ma ha invece permesso la condivisione delle prassi di MMG e specialisti successivamente analizzate attraverso uno strumento conosciuto nella pedagogia dell’adulto come “comunità di pratiche”, poi confrontate anche per mezzo di un questionario». Al termine dei webinar, infatti, tramite una piattaforma online è stato valutato l’impatto del progetto sulle prassi dei medici quanto a diagnosi e terapie prescritte.
La valutazione ex post
Dalla survey sono emersi risultati interessanti sia sotto il profilo epidemiologico che, soprattutto, del cambiamento nelle pratiche cliniche che il progetto ha promosso. È evidente prima di tutto che la lombalgia, problema comune a entrambi i sessi, nel maschio riguarda in un caso su tre pazienti con un’età compresa tra i 18 e i 45, fascia rappresentata nelle donne solo dal 10-15 per cento dei soggetti. Frequentemente la patologia si associa a condizioni quali sovrappeso, obesità e fumo di sigaretta ed è spesso presente in pazienti che eseguono alcuni lavori manuali. È emerso inoltre come i soggetti colpiti sembrino presentare sindromi depressive in misura maggiore rispetto alla popolazione generale italiana. Quanto alle diagnosi, nel 50-60 per cento dei casi i MMG identificano come sospetto diagnostico la patologia funzionale seguita nel 40 per cento dei casi dalle sindromi radicolari e in misura minore (5-10 per cento) da sindromi specifiche del rachide.
Come cambiano le prassi dei MMG
«Dal confronto dei risultati pre e post divulgazione», spiega Davide Lucano, amministratore delegato di OPT, «si è osservato uno switch verso una maggiore appropriatezza prescrittiva sulla base del sospetto diagnostico e verso un maggiore utilizzo delle associazioni di farmaci. Inoltre, si è osservata una riduzione nella prescrizione di ulteriori accertamenti da parte dei MMG, soprattutto nel caso di sospetta patologia funzionale, probabilmente grazie a una sensibilizzazione verso la necessità di non procedere nell’immediato con una prescrizione di esami diagnostici». Così ad esempio se in fase pre-divulgazione al 55 per cento dei pazienti veniva prescritto un antinfiammatorio non steroideo e al 45 per cento il paracetamolo, post evento queste percentuali sono passate al 68 per cento per il paracetamolo e al 39 per cento per i FANS. Accresciuto inoltre l’impiego di adiuvanti, come miorilassanti e neurotrofici, e di antidepressivi. Aumentato infine il ricorso alla fisioterapia.
Più collaborazione tra MMG e specialista
A oggi la lombalgia è ancora generalmente gestita dal medici di medicina generale in autonomia, riservando il ricorso allo specialista nei casi più dubbi e complessi. Secondo i dati ciò avviene nel 60 per cento dei casi. Risultati interessanti anche a questo proposito: dopo gli interventi formativi sono infatti sono aumentate le richieste di consulto con lo specialista, nell’ottica della costruzione di una rete assistenziale a maglie più strette per migliorare la presa in carico. Anche sul versante dell’appropriatezza diagnostica il progetto ha avuto un buon impatto: in fase pre-divulgazione, in quasi il 70 per cento dei casi veniva prescritta una Rx seguita da risonanza magnetica nel 40 per cento dei casi. Nella fase post-divulgazione gli approfondimenti diagnostici sono stati prescritti in percentuali inferiori: in particolare la Rx passa dal 70 al 50 per cento e la risonanza magnetica dal 40 al 20, confermando come questo tipo di approccio al problema consenta di maturare una maggiore consapevolezza da partire dei professionisti.
Il problema dell’appropriatezza
«La questione della appropriatezza farmacologica e diagnostica rivela tutta la complessità di questo quadro di patologia e dipende da vari fattori», prosegue Magi. «Prima di tutto la maggioranza delle forme di lombalgia sono aspecifiche e quindi poco chiare, soprattutto all’esordio. C’è poi l’ansia e la pressione del paziente, che è spinto da fattori non sempre organici ma anche ambientali e psichici». Il MMG si trova quindi a dover gestire queste problematiche in modo non sempre semplice e con la pressante richiesta del paziente del più rapido beneficio. Questo nonostante i percorsi terapeutici siano lunghi e complessi dal momento che fattori organici si intrecciano con aspetti psicologici e sociali, talvolta preminenti rispetto ai primi. «L’appropriatezza, però, non la raggiunge il singolo medico ma si ottiene con un lavoro di squadra che coinvolga il MMG e gli specialisti insieme a tutti gli altri operatori di riferimento». L’obiettivo del progetto è infatti di sistema: «Solo il confronto e il dialogo tra ospedale e territorio», conclude Lucano, «consentono di raggiungere risultati di efficienza e appropriatezza».