Criteri diagnostici dell’ipofosfatasia in pediatria: arriva la nuova consensus

L’ipofosfatasia (HPP) è una malattia causata da una mutazione genetica che determina un deficit di attività della fosfatasi alcalina tessuto-non-specifica. Elevato il tasso di letalità: fino al 100 per cento nella forma perinatale e fino al 50 per cento nella forma a esordio infantile. La patologia è tuttavia piuttosto eterogenea sotto il profilo delle sue manifestazioni e l’assenza di linee guida nazionali e internazionali per la diagnosi complica la situazione.

Migliorare l’iter diagnostico

«Si tratta di una patologia ancora poco conosciuta, come testimoniano i dati disponibili sul tempo che intercorre tra la prima insorgenza della sintomatologia e la diagnosi, in media 8 anni», ha spiegato Stefano Mora, responsabile del Laboratorio di endocrinologia pediatrica all’Ospedale San Raffaele di Milano. «È quindi fondamentale continuare in un’opera di diffusione delle attuali conoscenze per poter raggiungere il maggior numero di operatori sanitari e fornire gli strumenti per facilitare l’iter diagnostico».

Le fasi del progetto

Per queste ragioni Opt si è impegnata nella formalizzazione di una expert consensus di key opinion leader sulla gestione del paziente pediatrico con HPP evidenziando la necessità di condividere e validare una proposta di criteri diagnostici utili alla tempestiva e appropriata presa in carico. L’attività parte dall’analisi degli unmet needs che aveva già portato alla definizione di una prima fase della consensus, oggi completata e formalizzata. L’obiettivo futuro sarà quello di giungere alla pubblicazione come position paper su riviste indicizzate a livello internazionale.

Dal sospetto alla diagnosi

L’ipofosfatasia colpisce primariamente lo sviluppo delle ossa e dei denti, interferendo con la mineralizzazione. I segni e i sintomi possono includere inoltre problemi a livello del sistema nervoso centrale, dei muscoli, delle articolazioni, dei polmoni e dei reni. «Frequentemente è l’odontoiatra il primo a poter sospettare la diagnosi di odontoipofosfatasia», ha spiegato Maria Rita Giuca della UO di odontostomatologia e chirurgia del cavo orale alla AOU Pisana . «Il sospetto può nascere da una perdita precoce e asintomatica di denti decidui, tra i 3 e 5 anni, in assenza di eventi traumatici. È quindi fondamentale non sottovalutare i segni clinici dentali poiché sono considerati come marker clinici di gravità della patologia».

Il ruolo delle indagini biochimiche e genetiche

La diagnosi necessita di una conferma biochimica, rappresentata da una bassa attività della fosfatasi alcalina. «Una volta accertata l’ipofosfatasemia, il sospetto si conferma con il dosaggio dei substrati che si accumulano in mancanza dell’enzima carente, e che sono rappresentati dalla fosfoetanolamina e della vitamina B6», prosegue Mora. Il sospetto dovrebbe essere confermato entro al massimo due mesi dalle indagini di genetica molecolare: «Il counseling genetico», conclude Benedetta Toschi, direttore SOD Genetica Molecolare all’Ospedale S. Chiara di Pisa, «ha un ruolo fondamentale nell’interpretazione del dato genetico, nell’individuazione di familiari a rischio attraverso un percorso multidisciplinare in sinergia con i vari specialisti».